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I misteri del castello d'Udolfo, vol. 4

Анна Радклиф

Ann Ward Radcliffe

I misteri del castello d'Udolfo, vol. 4

CAPITOLO XXXVIII

Bianca, che intanto trovavasi sola, non vedea l'ora di riveder la nuova amica, per dividere seco lei il piacere dello spettacolo della natura. Non aveva più nessuno cui esprimere l'ammirazione e comunicare le sue idee. Il conte, accortosi del di lei dispiacere, fece ricordare ad Emilia la visita promessa, ma il silenzio prolungato di Valancourt inquietava tanto la fanciulla, che fuggiva la società, ed avrebbe voluto differire il momento di riunirvisi fin quando non fosse calmata la sua ansietà. I Villefort la sollecitarono però così vivamente, che non potendo spiegare il motivo che l'attaccava alla solitudine, temè il suo rifiuto non avesse l'aria del capriccio, ed offendesse quegli amici dei quali voleva conservare la stima. Ritornò dunque al castello di Blangy; l'amicizia del conte la incoraggì a parlargli della sua posizione relativamente ai beni della zia ed a consultarlo sul modo di rivendicarli: non eravi dubbio che la legge non fosse in suo favore. Il conte la consigliò di occuparsene, e le offrì perfino di scrivere ad un avvocato di Aix per averne il parere. L'offerta venne accettata; le garbatezze che riceveva giornalmente in quella casa, l'avrebbero resa ancora felice, se avesse potuto esser certa che Valancourt stava bene e l'amava sempre. Aveva già passata più d'una settimana al castello senza riceverne notizie; sapeva benissimo che se Valancourt non fosse stato dal fratello, era molto dubbio che la sua lettera pervenisse, ed intanto l'inquietudine, il timore che non poteva vincere turbavano continuamente il di lei riposo. Le passavano per l'idea i tanti casi, che potevano essere divenuti possibili dopo la sua cattività nel castello di Udolfo; talvolta era colta da tanto timore, o che Valancourt non esistesse più, o che non esistesse più per lei, che la compagnia istessa di Bianca le diveniva insopportabile. Passava ore intiere sola nella sua stanza, quando le occupazioni della famiglia le permettevano di farlo senza inciviltà.

In uno di questi momenti di solitudine, aprì una cassettina contenente le lettere di Valancourt, e qualcuno dei disegni fatti in Toscana; ma questi ultimi oggetti l'interessavano poco. Cercava in quelle lettere il piacere di rammentarsi una tenerezza, che aveva formato tutta la sua consolazione, ed avevale fatto qualche volta obliare ogni affanno; ma esse non producevano più l'istesso effetto, aumentando invece le sue angoscie. Pensava, aver forse Valancourt potuto cedere alla forza del tempo e della lontananza. Oppressa da tai dolorosi pensieri, appoggiò la testa sulle mani, lasciando libero sfogo alle lacrime. In quel momento, Dorotea entrò per avvertirla che il pranzo sarebbe stato anticipato di un'ora. Sussultò Emilia, ed affrettossi a raccogliere le carte; ma la vecchia notò le sue lagrime e la sua agitazione.

« Ah! signorina, » esclamò essa, « nella vostra fresca età avete anche voi affanni? »

Emilia si sforzГІ di sorridere, ma non poteva parlare.

« Oimè! cara fanciulla, quando avrete i miei anni, non piangerete per inezie. Certo non dovete affliggervi per qualcosa di serio?

– No, Dorotea, » rispose Emilia, « nulla d'importante. »

Dorotea, chinatasi per raccogliere qualcosa, esclamò improvvisamente; « Cielo! che vedo? » Cominciò a tremare, e si abbandonò su d'una sedia.

– Cosa avete veduto? » disse Emilia guardandosi intorno.

– È ella stessa, » disse Dorotea, « è lei precisamente com'era poco tempo innanzi la sua morte… Questo ritratto, oh Dio! dove l'avete trovato? È la mia cara padrona, è lei stessa! » E gettò sul tavolino la miniatura trovata da Emilia tra le carte che il padre le aveva ordinato di bruciare; era lo stesso ritratto, sul quale l'aveva una volta veduto piangere. Rammentandosi a tal proposito le circostanze della sua condotta, che l'avevano tanto sorpresa, l'emozione di Emilia fu tale, che non ebbe la forza d'interrogare Dorotea: tremava delle