Rinaldo ardito
Lodovico Ariosto
Ludovico Ariosto
Rinaldo ardito / Frammenti inediti pubblicati sul manoscritto originale
PREFAZIONE
L'annunzio della stampa d'un'Opera del divino Ariosto, non solo inedita, ma quasi sconosciuta, e tale da essersene perfino impugnata da solenni scrittori la reale esistenza, ai nostri giorni in cui si è tanto rovistato e tanti disotterramenti si son fatti dalla polvere delle pubbliche e private Biblioteche ed Archivi, parve cosa mirabile e da reputarsi quasi favolosa, ove il fatto di per se stesso non rispondesse perentoriamente. L'Opera della quale ci avvisiamo parlare è il Rinaldo Ardito[1 - E così ci è parso doverlo intitolare, quantunque nel corso dell'opera il Poeta chiami sempre Ranaldo, ed una volta Rainaldo, l'eroe del poema, che nel Furioso è nominato Rinaldo. Nè può cader dubbio che sieno due personaggi diversi, venendo sotto ambedue le denominazioni ciascuno qualificato per figlio d'Ammone paladino di Francia, Signor di Montalbano e fratello di Bradamante; cosicchè di tal cambiamento non può addursi per causa che il buon piacere dell'Autore.], altro poema dell'Omero ferrarese, dettato da esso dopo l'Orlando Furioso, e sugli ultimi anni di sua vita. Ma perchè la storia bibliografica e letteraria di questo Poema è nuova del tutto, ed alquanto intricata, non sia grave al Lettore che noi vi spendiamo quel tanto di parole che servano a dilucidarla, ed a renderla piana ed incontroversa. Così operando, verremo a supplire al difetto del Ch. Fr. Reina Editore del Furioso della Collezione de' Classici di Milano, il quale nel 1812 prometteva corredare quella ristampa d'un comento, ed aggiungervi per la prima volta tutti i frammenti di un altro poema trovati fra carte dimenticate e già spettanti al D. Giuseppe Lanzoni. Onde non conoscendo le cause che lo impedirono a dar fuori quel comento, e a pubblicare questi Frammenti, ci lusinghiamo che egli avrebbe a grado che l'avessimo rilevato da questo secondo debito, se il cielo gli avesse concesso più lunga vita.
Antonfrancesco Doni fiorentino, uno degl'ingegni più bizzarri e fantastici che coltivassero le lettere italiane sulla metà del Secolo sedicesimo, fu il solo che nella Seconda Libreria[2 - Venezia 1551, presso il Marcolini a pag. 82.] palesasse ai dotti l'esistenza del nostro Poema, con queste nude e magre parole «Lodovico Ariosto, Rinaldo Ardito, dodici canti.» Ma al bugiardo (ed il Doni n'avea fama ben giustificata) non è creduto neppure il vero; cosicchè tutti coloro che parlarono della vita e delle opere di Messer Lodovico, dal di lui figlio Virginio sino al Tiraboschi, o si astennero dal registrare fra queste il Rinaldo Ardito, o lo rammentarono solo per causa di dileggio e di rimprovero al Doni, tacciando d'impostura e menzogna la notizia che egli ne dava. Nè questa imputazione, benchè dura e falsa, può dirsi moralmente temeraria, poichè non si credè presumibile che il Doni potesse conoscere tutti gli scritti del Poeta editi ed inediti al tempo suo, meglio di Virginio figlio amatissimo di esso, il quale conviveva seco lui, ne riceveva precetti e buon avviamento alle ottime discipline, ed aveva agio e libertà di leggere tutto ciò che il padre dettava. Ed in fatti fu questi che raccolse tutte le di lui poesie latine, e che nel 1545 dette ad Antonio Manuzio, che li stampò per la prima volta, i cinque Canti che seguono la materia del Furioso, o meglio preparati per altro Poema. Ma comunque la cosa si fosse, la verità è che il Rinaldo Ardito è esistito, ed in parte esiste; e forse il Doni lo vide completo in mano dell'Autore, o da esso medesimo n'ebbe contezza: e dico così, perchè niun altro ne fa parola. Però non saprei indagare la ragione per la quale gli piacque tenerlo celato ai suoi più cari e confidenti, pe' quali non avea segreto, e lo palesasse al Doni: in questa riserva è un qualche enimma, ed aspetteremo che sorga l'Edipo per darne spiegazione. Frattanto per non perdersi in vane induzioni e fallaci ipotesi sulla via che condusse il Doni alla conoscenza di questo componimento, proseguiamo