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Mattinate napoletane

Salvatore Di Giacomo

Salvatore Di Giacomo

Mattinate napoletane

VULITE 'O VASILLO?

Napoli, Marzo 1885

CARISSIMO PAOLO,

Io non ho, qui a Napoli, con chi sfogare certe mie piccole pene, che mi pare abbiano tutta la buona intenzione di rimanersene meco alloggiate, in questa cameretta mia solitaria. Non ho stretto amicizia con nessuno, apposta per non dare a nessuno il modo di subitamente allontanarsi da me per qualche improvvisa scappatella che mi facesse il morboso carattere mio. Vivo solo e tranquillo in questa mia stanza, dalla quale esco a prima ora di mattina per trovarmi all'Istituto, e un po' a sera, col tempo buono, per avvelenarmi con una chicchera di caffГЁ e con un sigaro napoletano. Il caffГЁ, per acquaccia nera che sia, mi permette di studiare e di leggere fino a notte avanzata, e ciГІ mi fa bene, lasciandomi dimenticare, sviando il pensiero e interessandomi a qualche cosa fuori di me stesso. Da qualche giorno, perГІ, il mio umore ГЁ ridiventato nero, pel tempo perverso che mette ovunque un silenzio di malinconia e nelle povere anime sofferenti uno sgomento indefinibile, una lunga e nervosa tristezza che a momenti si vorrebbe mutare in tante calde lacrime piante tacitamente, la faccia nelle mani, mentre, come ora che ti scrivo, seguita la pioggia a borbottar nelle grondaie e lontano lontano muore un tintinnio di campanelle vaganti.

Or io mi sono, solo solo, rincantucciato presso alla mia finestra e guardo, per le vetrate, nella via deserta ove son tutte chiuse le botteghe e taciti e frettolosi i rari passanti. Il cielo ГЁ grigio come la veste d'una monacella di questua; si leva da una terrazza di faccia a me e vi si disegna a carbonella il palo del telegrafo, irto di capovolti interrogativi che irraggiano a destra e a manca fili neri, i quali si vanno lontanamente a perdere. Sta in fondo Sant'Elmo, vestito appiГЁ delle mura di un cupo verde alimentato dalle piogge e dall'umiditГ , sforacchiato da tanti buchi neri in fila. E una fila d'uomini ritti, immobili, par la cresta merlettata del castello, dietro il quale impallidisce freddamente il cielo, come negli antichi acquarelli de' trittici olandesi.

Ebbene, Paolo mio, dopo questo io non ho che o troppo poco ancora, o tante, tante cose a dirti! Ancora parlarti di me, delle mie incoerenze, dei contrasti che s'agitano e s'accapigliano in quest'anima mia inquieta, delle aspirazioni, de' sogni a' quali tengo dietro, col cuore tremante? Non voglio; quest'altra stanzetta ove tu seguiti, in un paese lontano dal mio, a innamorarti delle farfalle e degli scarabei verdi riscintillanti, a raccogliere pazientemente e ad ordinare famiglie di crittogame o di fanerogame tra fascicoli di carta, mio buon Linneo calmo e tranquillo, quest'altra stanzetta ГЁ ancora troppo piena di me. Or le tue piante e i tuoi scarabei non mi sentono piГ№; non piГ№ la vecchia spinetta canta loro le semplici arie della nostra montagna nelle beate dolcissime sere lunari. Paolo mio caro, vuoi raccontare una storiella a questa tua silenziosa famiglia? Te la mando da Napoli, da questo strano cuore d'Italia che patisce, se lo si considera bene, di tutti i mali cardiaci, dell'aritmia, dell'iperestasia, dei ribollimenti subitanei e delle lunghe paci silenziose, da' battiti lenti, quasi malati.

Dunque, ascolta. La storiella potrebbe pur esser vera.

* * *

Tre giorni dopo arrivato, col mio bravo cassettino ad armacollo e col mazzo di pennelli tra mani, infilavo, entrandovi da Borgo Loreto, il lungo vicolo Giganti, pel quale si spunta alla Marinella. Tu non sei stato mai a Napoli e non puoi sapere che sieno questi vicoli di Borgo Loreto, topaie di marinari miserabili, vestiti di lana doppia, puzzolenti, neri come il carbone. Tutta la vita grama di questi lavoratori del mare s'agita ripullulando, in case buie, profonde, umide. Un tristo e schifoso spettacolo, poco lontano dall'azzurro, divino spettacolo del mare, innanzi al quale la mia mano freme sulla tavolozza.

Io, dunque, per andare a dipingere alla riva, passavo pel vicolo Giganti, guardando qua e lГ  curiosamente e persino