La vita Italiana nel Risorgimento (1831-1846), parte II
Various
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La vita Italiana nel Risorgimento (1831-1846), parte II / Seconda serie – Lettere, scienze e arti
ANTONIO ROSMINI
CONFERENZA
DI
ANTONIO FOGAZZARO
Signore, Signori,
Nel maggio del 1897, dopo le feste roveretane per il centenario di Antonio Rosmini, io scendevo dal Trentino per le gole precipitose che versano alla mia pianura i larghi fiotti del Brenta. L'eguale fragore delle acque nel profondo mi ripeteva parole tristi che tutte, prima, non intesi, preso, rapito com'ero nello spirito dalla violenza di tante immagini recenti, che mi riconducevano a Rovereto. Gaia nel vento e nel sole la bianca città : alto, lucente un diadema di nevi sulle montagne che la guardano: vie gremite di gente festosa: archi, fontane, ghirlande, musiche: raggianti volti di apostoli e discepoli del Rosmini convenuti da ogni parte d'Italia: fiori pioventi dai balconi, favolosamente, sul capo di tanti metafisici punto giovani, punto eleganti o avvezzi, come rosminiani, a tutt'altra pioggia: sale accademiche parate a festa, immagini glorificate di don Antonio, stormi di cravatte bianche e di abiti neri, discorsini eleganti di oratori ufficiali, discorsoni trionfali di oratori illustri: uditorii quali un conferenziere ambizioso li sogna, vibranti a ogni tocco di parola calda, pronti a cogliere ogni dolcezza nascosta in inviluppi di parole prudenti: uditorii di dame, di cavalieri, di popolo e di ombre, sì, anche di ombre perchè noi, sognatori, vedevamo nella sala tre nebulose tiare di fantasmi, le tiare di Pio VIII, di Gregorio XVI e di Pio IX, protettori di Rosmini, e vedevamo gli amici suoi più illustri, il pugnace vecchio Bonghi in prima fila, il cieco vecchio Tommasèo molto più indietro e, peritoso sulla soglia, il gran vecchio Manzoni. Ci vedemmo pure il signorile aspetto del marchese Gustavo di Cavour e qualcuno di noi giura avergli veduto accanto il volto di un antico giornalista e collega, in certo modo, di redazione del Rosmini, un caro paterno volto impresso nel cuore di noi tutti, sorridente allora, fra bonario e malizioso, di quest'arguzia pensata: «l'abate e io non andavamo d'accordo in tutto ma però siamo stati collaboratori nel Risorgimento.»
Assorto in queste immagini non udii che tardi la insistente parola triste del fiume. «È finito» mi diceva «è passato, il vostro sottile fascio è già disperso, il picciol vento rosminiano già cade lasciando il mal tempo di prima.» Ebbene, no. Non tutto il suono della commemorazione centenaria si è dileguato invano malgrado certi meditati silenzii che le si fecero intorno. E prima che io ne ragioni, lasciatemi ricordare ciò che per la fama di Antonio Rosmini hanno fatto in altri tempi i suoi avversari. L'odio implacabile di costoro ha servito per un disegno provvidenziale a preservare dall'oblìo delle moltitudini il nome del sublime filosofo che le moltitudini non possono intendere. I colpi menati sull'opera bronzea di lui diedero non altro che suono e faville vive del nome percosso. Il bavaglio posto ai sacerdoti rosminiani giovò ai loro persecutori, quanto la cuffia del silenzio giovò ai Borboni; per l'uomo che taceva gli stessi strumenti di tortura gridavano. Così avvenne che il nome di Antonio Rosmini, quarant'anni dopo la morte di lui e fra generazioni affatto incuriose di filosofia, fosse fra i nomi noti a ogni persona civile. Ma era uno di quei nomi vuoti e morti, che le persone civili portano in mente magari per tutta la vita senza curarsi mai di ricercarne il perchè, di saper bene quali creature umane li abbiano portati. Quando si parlò del centenario molti si accorsero di questa loro ignoranza, molti convennero nelle sale dove si tenevano conferenze su Rosmini, ascoltarono attenti e ne uscirono più curiosi di prima. Se quest'uomo era stato un grande cattolico, perchè tante condanne del Sant'Ufficio, tanto veleno di odium theologicum? Perchè nè Pontefice nè cardinali nè vescovi si movevano a rendergli onore? Perchè venivano a recitarne l'elogio dei signori vestiti da borghesi e